“Incredibile come il dolore dell’anima non venga capito. Eppure il dolore dell’anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare”.

Oriana Fallaci

 

Trauma come “ferita dell’anima”

freeNella vita avrai sicuramente affrontato eventi traumatici più o meno dolorosi.  A volte sarai riuscito a superarli e “digerirli” in modo autonomo e spontaneo lasciandoli nel passato, altre volte invece avranno lasciato un’influenza ancora oggi.

Il tempo quindi non riesce a guarire tutte le ferite. Alcune bruciano ancora nel presente.

La parola trauma deriva dal greco e significa “ferita”, “lacerazione”. Il trauma psicologico può essere considerato una “ferita dell’anima”, un’esperienza così intensa e negativa da impedire alla persona di continuare a vivere come prima.                                            

Spesso un trauma arriva come un fulmine a ciel sereno. Questa è la sua caratteristica più importante: segna uno spartiacque tra un prima e un dopo e fa sentire la persona vulnerabile e impotente.


Non tutti i traumi sono uguali

Esistono diverse forme di esperienze traumatiche che si possono affrontare nella vita.

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Esistono i “piccoli traumi” o “t”, ovvero quelle esperienze di vita , solitamente ripetute, che comportano un’intensa sofferenza per la persona all’interno di un rapporto con qualcuno importante per la sua vita (es. un genitore, un insegnante, un compagno di classe).

La persona che subisce il trauma soffre ma non è in pericolo di vita (es. umiliazioni significative durante l’infanzia, bullismo, mobbing in età adulta, etc).

Per capire cosa è un trauma “t” prendiamo l’esempio di Luca, un adolescente che chiede aiuto perché è agitato e dice di non voler più andare a scuola. Il malessere sembra iniziato un giorno a scuola dopo una partita di pallavolo.

Luca è sempre stato un bambino molto introverso. Fin dai tempi dell’asilo  non veniva mai invitato a giocare dagli amici  e pensava “Io sono diverso”.

Alle elementari aveva difficoltà di apprendimento per le quali purtroppo veniva spesso sgridato dalla maestra e pensava ancora “Io sono diverso”.

Durante la terza media subì un episodio di bullismo in cui dei ragazzini gli rubarono dei soldi, insultandolo. Anche in questo caso pensò di essere diverso dagli altri e inadeguato (“Ero uno schifo e tutti lo vedevano”).

Infine, oggi alle superiori, una mattina a scuola è tra i pochi a non essere scelto dai compagni  per far parte  della squadra di pallavolo. Iniziano i sintomi: dorme male, è irritabile, non vuole broken-1245141più andare a scuola.

Che cosa è successo? Perché Luca reagisce in modo così intenso ad un evento apparentemente banale?

L’evento nel presente (esclusione dalla squadra) ha provocato delle conseguenze emotive importanti (es. ansia, irritabilità, rifiuto di andare a scuola), non tanto per  se stesso o per l’importanza dei “pallavolisti”, ma perché ha risvegliato in Luca le emozioni di tutti gli episodi precedenti in cui si è sentito escluso.

Accanto a questi traumi si possono trovare i traumi T, ovvero tutte quelle esperienze in cui è minacciata la vita propria o delle persone care (ad esempio aggressioni, disastri naturali, abusi, incidenti etc.).

Prendiamo l’esempio di  Giovanna, una giovane donna aggredita da un ladro mentre camminava in una periferia di una grande città (trauma T).

Giovanna, dopo più di un anno dall’episodio, aveva ancora ricordi ricorrenti dell’evento che si presentavano sotto forma di immagini disturbanti e continue. Sognava spesso la scena e sentiva batticuore e agitazione al solo pensiero di uscire di casa da sola. L’ansia e il malessere aumentavano se si trovava vicino alla zona dove era avvenuta l’aggressione. Raccontava di avere ansia, tremore e agitazione che non erano presenti prima del trauma, oltre una certa difficoltà ad addormentarsi. Giovanna inoltre cercava in ogni modo di evitare pensieri, emozioni, persone o situazioni che potessero ricordarle il trauma.

Questo sforzo costante di tenere a bada i ricordi angoscianti è tipico di chi ha subito un trauma ma purtroppo, soprattutto se protratto a lungo, da tentativo di risolvere il problema diventa una perdita logorante di energie che ostacola la rielaborazione e il superamento dell’evento stesso.

Non tutti reagiscono allo stesso modo ad un’esperienza traumatica: c’è chi recupera completamente e ritorna subito ad una vita normale in un breve periodo di tempo, e c’è invece chi non riesce a vivere la propria esistenza come prima dell’evento traumatico.


mente emozioni2Non sei mai completamente inerme davanti ad un trauma

La risoluzione  degli eventi traumatici normalmente avviene in modo spontaneo perché la nostra mente è per natura dotata di un sistema di elaborazione dei ricordi negativi che ha la funzione di digerirli, dare loro un senso trasformandoli magari in modo costruttivo (“Ho imparato tanto da quell’episodio, sono cresciuta, sono diventata più forte”).

Talvolta però questo meccanismo di autoriparazione si blocca e il ricordo dell’evento doloroso, invece che spegnersi dopo aver avuto una certa intensità, resta attivo e produce un malessere che può variare da persona a persona.


Il trauma come problema di memoria

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Tutti gli studi sono ormai concordi nel sostenere che il problema del trauma è un problema di processi di memoria, ossia “il come” l’evento negativo viene memorizzato e quindi poi resta in memoria continuando ad arrecare sofferenza nella persona,  producendo sintomi come  flashback (il rivivere improvvisamente le scene, suoni, emozioni e altre sensazioni dell’evento passato come se fosse ancora nel presente).

Tutti gli approcci psicoterapeutici oggi concordano sul fatto che in terapia  un  trauma irrisolto vada rielaborato e in questo modo superato e ricollocato nel passato.

 

L’EMDR propone però una modalità unica per arrivare a questa rielaborazione.

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