“Tu eri avvolto per me dall’enigma di tutti i tiranni, il cui diritto è fondato sulla loro persona e non sul pensiero.”
Kafka
“Le tue teorie, Barbara, mi sembrano incredibilmente ingenue. Non hai capito niente di me e della mia famiglia. Nessuno mai potrà farlo. Lascia perdere con queste idee da psicologi da strapazzo. Mio padre è stato e sempre sarà un grande e non mi ha dato nessun problema. Sono tutte cavolate!”.
Così Marco* liquidò il mio timido tentativo di parlare della sua famiglia. Si stava difendendo. E lo faceva in modo duro e spietato. In quel momento io non ero più una delle sue amiche, ma ero diventata improvvisamente una delle sue più acerrime nemiche.
Si sentiva “scoperto” e me la stava facendo pagare, anche se io avevo solo cercato ingenuamente di rispondere alla sua domanda riguardo a se avesse avuto o meno un buon padre.
Ero caduta nella trappola come una bambina sprovveduta, ma avevo avuto anche la conferma della presenza di tratti narcisistici nella sua personalità.
Il narcisista non è (sempre e solo) il prodotto di una società fondata su individualismo egoistico e culto di sé, ma affonda le radici nei rapporti tra l’individuo e i membri più significativi della sua famiglia. Vale la pena quindi soffermarsi ad analizzare tali rapporti e descrivere il contesto in cui questi nascono e si sviluppano, in particolare il delicato rapporto con il padre.
Se infatti un genitore del narcisista è spesso morbido e seduttivo, l’altro (di frequente il padre) può presentare caratteristiche diametralmente opposte: può essere critico, duro e abusante o assente, passivo e rifiutante.
Un padre che comunque può avere in comune con la madre il fatto di riversare elevatissime aspettative sul figlio. Ma lo fa spesso in maniera più spietata e diretta rispetto ai più indiretti messaggi materni. Un padre così forgia spesso il figlio con il fuoco dell’umiliazione, più o meno sottile, e della critica spietata di fronte alla quale il bambino non ha scelta: deve sottomettersi al potere paterno.
Le conseguenze delle critiche e delle umiliazioni subite nell’infanzia si ripercuotono nella vita adulta del narcisista: ogni sfida al proprio potere viene accolta con rabbia, ma anche con un profondo e inconsapevole terrore, eco dell’antico timore verso il padre, figura amata, idealizzata (spesso), temuta (quasi sempre).
Da adulti ogni sfida al proprio potere riaccende il timore di venire di nuovo umiliati. Ciò porta spesso i narcisisti ad evitare il contatto con uomini percepiti come forti e potenti: li odiano e ne hanno profonda paura, preferendo così l’amicizia con personalità più rassicuranti e meno competitive.
Nel tempo quel bambino intimorito dal padre è divenuto pian piano come lui, si è identificato con il genitore. Per questo il narcisista ha bisogno di riproporre il familiare gioco dell’umiliazione, cercando l’amicizia con uomini che inconsapevolmente, avendo un tema di sottomissione irrisolto, possono rientrare nella dinamica perversa del controllo.
Ma dietro quell’uomo spavaldo, con un insaziabile bisogno di dominare, c’è ancora quel bambino terrorizzato, una parte di cui il narcisista si vergogna e che rimane quasi sempre inconsapevole.
E’ il rapporto con il padre che può contribuire a far sviluppare in lui la visione agonistica e competitiva della vita tipica di queste personalità: le relazioni non sono mai sullo stesso piano, ma c’è sempre un vincitore e un perdente. Esiste solo il bianco e il nero in questo “pensiero dicotomico”: tutto o niente, schiavo o padrone, successo o fallimento. Lui non vuole più sentirsi tra gli sconfitti e perciò iper-compensa e combatte il proprio senso di inferiorità.
Controlla per non sentirsi controllato, domina per non sentirsi dominato, perché nella sua testa non c’è altra scelta, non ci sono vie di mezzo: o sei sopra o sei sotto. Il narcisista quindi ha imparato a far fronte alla sottomissione con il contrattacco. Invece di sottomettersi, assume il ruolo opposto: diventa aggressivo e prepotente. Così compensa i propri sentimenti profondi di sottomissione.
Ma l’aggressività è solo una maschera perché, dietro l’apparenza spavalda, c’è sempre quel bambino che si sente profondamente intimorito dagli altri. E alcune donne, che sono state ugualmente sottomesse nell’infanzia, trovano attraente la relazione con un narcisista pronto ad ottenere il controllo sull’altro.
E’ come la chiave che trova la sua serratura: in fondo entrambi hanno un tema irrisolto di sottomissione, che però ha esiti opposti e complementari.
“I
o mi sento sicuro solo se ho accanto qualcuno da controllare” il mantra di lui.
“Io trovo familiare essere controllata e ho bisogno di rivivere una relazione di potere per avere la speranza di superarla” il mantra di lei
(naturalmente se fossero entrambi consapevoli del perverso gioco in atto).
E’ per questa segreta alchimia degli schemi che inizia la danza tra un narcisista e il suo contraltare, la donna che ne diviene dipendente. Un magico e spesso mortifero passo a due che a volte può avere a volte tragiche conseguenze.
Barbara Cicconi, Blog mind.
No responses yet