Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso.
Eleanor Roosevelt
“Quando sono in mezzo alle persone mi sento a disagio. Per me gli altri sono sempre più belli, intelligenti e interessanti di me e vorrei fuggire via. Anche quando sono con il mio fidanzato non sono mai tranquilla…faccio continui confronti con le altre donne e mi sento sempre un gradino più in basso…
…e lui sta iniziando ad innervosirsi per le mie insicurezze!”
Alessandra* è una giovane donna arresa al proprio senso di inferiorità, meravigliosamente descritto dal grande psicologo americano Jeffrey Young (2004).
Prova un intenso sentimento di vergogna di sé. Pensa, sente e agisce come se in lei ci fosse qualcosa di sbagliato: è solo questione di tempo prima che gli altri se ne possano accorgere e lasciarla.
Guarda sempre la realtà deformandola in base alla sua idea negativa di sé, interpretando tutto quello che le accade come una prova di rifiuto e una conferma del fatto che lei non è degna d’amore.
“Le mie amiche ricevono più like di me su Facebook … Non importa a nessuno quello che scrivo. Sono inutile!”
Ha spesso un atteggiamento autopunitivo ed è critica e dura con se stessa: “Non servo a niente”, “Non valgo niente”, “Sono un essere inutile”, “Non sono degna d’amore”. E a volte la critica verso se stessa si trasforma in odio e disprezzo: “Sono indegna”, “Mi faccio schifo”.
Alessandra*, come molte delle persone con lo schema di inadeguatezza, tende ad essere attratta da partner critici e rifiutanti, mentre è incline a scartare gli uomini affettuosi perché le sembrano noiosi. Non le fanno scoppiare i fuochi d’artificio nel cuore.
Gli uomini ipercritici e punitivi, quelli che tendono a incolpare sempre gli altri, sono per lei una calamita. Sono familiari nel senso etimologico della parola. Le ricordano infatti la sua famiglia.
“Da piccola sentivo di essere una delusione per mia madre… Non ero la bambina che avrebbe voluto. Mi criticava per ogni cosa che facevo. Niente andava mai bene. E io allora pensavo fosse giusto essere trattata cosi: ero sbagliata e insignificante e lei faceva bene a farmelo notare”.
Alessandra ha giustificato per molto tempo l’atteggiamento ipercritico della madre e inizia a star meglio dal momento in cui permette a se stessa di esprimere in seduta la rabbia per
il trattamento ricevuto. Ha smesso per un po’ di scusare la madre e di cercare spiegazioni razionali alle sue critiche.
Perché per superare lo schema di inadeguatezza è necessario dar sfogo in terapia ai propri sentimenti di rabbia repressa. Attraversare la selva di ira e dolore al fondo della quale si può ritrovare la luce del perdono verso se stessi e verso gli altri.
Sicuramente della compassione per se stessi.
Conobbi Mario* qualche anno fa nel momento in cui stava buttando tutto il suo stipendio nel poker online. Una telefonata della banca e il conto in rosso lo spinsero ad alzare la cornetta e chiedere aiuto.
Mario* era un ragazzo che viveva in perenne fuga dai sentimenti di inferiorità. Aveva sempre fatto di tutto per non sentire l’inadeguatezza e aveva trovato tutti i modi per spegnere queste emozioni negative dentro di sé.
“Passo molte ore anche della notte a giocare con il computer o a bere al bar. Non mi piace per niente andare alle feste soprattutto se ci sono ragazze. Preferisco gli alcolici o giocare al poker online. Se so di dover uscire mi sale una grande agitazione, un nodo allo stomaco…mi calmo solo con un bicchiere di vino e nel mio mondo al computer”.
Mario con la fuga evitava di pensare. Fuggiva continuamente dalle emozioni, pagando nel lungo termine un caro prezzo. L’evitamento infatti dà l’illusione di risolvere i sentimenti di ansia e vergogna, ma è solo un inganno: la fuga e l’anestesia emotiva in realtà ci impediscono di divenire consapevoli del nostro dolore e quindi di superarlo. Barattiamo un sollievo immediato con la possibilità di attraversare la sofferenza e guarire la ferita.
Non si possono guarire le ferite che non si vogliono vedere.
Le persone inclini all’anestesia emotiva come Mario* tendono ad essere attratte da tutte le sostanze e attività che le aiutano a reprimere le emozioni: alcol, droghe, computer, social, chat, cibo o lavoro compulsivo.
E Mario iniziò a stare meglio quando accettò per un po’ di evitare di evitare. Quando finalmente corse il rischio di venire a contatto con i sentimenti di vergogna e umiliazione che le droghe avevano illusoriamente coperto. Quando si diede la possibilità di rielaborare i ricordi di umiliazione subita in famiglia per mano di un padre anaffettivo e tirannico, sempre pronto alla critica più feroce. Quando ebbe il coraggio di guardare la ferita senza girarsi dall’altra parte nell’illusione di non sentire più il dolore.
Due persone, due storie diverse, due modi diversi di affrontare gli stessi sentimenti di disvalore, inferiorità e vergogna.
Storie accomunate da uno stesso percorso di rinascita: guardarsi allo specchio per entrare in contatto con il bambino e la bambina feriti, umiliati o arrabbiati e impauriti che sono dietro l’adulto di oggi.
A volte per cambiare è necessario farsi aiutare da un terapeuta, perché è all’interno della relazione terapeutica che si possono rielaborare la tristezza, la vergogna e la rabbia che spesso tormentano i protagonisti di queste storie.
Iniziare a sentire una vera e profonda compassione verso se stessi.
Questo è forse l’unico modo per rinascere, perché si può nascere due volte: la prima volta per l’anagrafe, la seconda quando si diventa consapevoli di se stessi.
Barbara Cicconi, Blog mind.
No responses yet